Cantananna – il racconto della magia del canto

Perchè cantiamo ai bambini?

“Che opera d’arte è l’uomo, quanto nobile nella sua ragione, quanto infinito nelle sue facoltà, nella forma e nel movimento, quanto appropriato e ammirevole nell’azione, quanto simile a un angelo nell’intendimento, quanto simile a un dio: la bellezza del mondo, il paragone degli animali”

Magari non serviva scomodare shakespeare, ma le parole che mette in bocca al principe amleto ben rendono l’idea di quanto l’essere umano sia capace di guardarsi intorno e – paragonandosi al resto del creato – sentirsi immediatamente superiore. 

Del resto, dalla creazione dei primi rudimentali utensili ad oggi, ne abbiamo fatta di strada: tecnologia, arte, linguaggio, musica, scienza, non c’è ambito in cui l’essere umano non si sia dato da fare per raggiungere traguardi un tempo impensabili.

Eppure, dal punto di vista biologico e istintivo, siamo gli stessi ominidi di 1 milione e mezzo  di anni fa: mammiferi “da poco” diventati nudi e bipedi e – diversamente dai nostri cugini primati – con un inizio vita non poco difficoltoso. Nasciamo sostanzialmente inadatti al mondo, bisognosi di cure impegnative, che richiedono un grande investimento in termini di energie e attenzione da parte dei nostri genitori, in particolare la madre. Da neonati odiamo essere “messi giù”, ci dà un senso di abbandono e di immediato pericolo, vogliamo stare in braccio, a stretto contatto con chi ci ama. E oltretutto, come cuccioli, non siamo abbastanza forti da aggrapparci e tenerci su da soli, nonostante il nostro innato riflesso di presa.

Eravamo così e siamo così ora. D’altra parte, diventare bipedi ha portato anche conseguenze positive incredibili: la nostra postura ha dato il via ad adattamenti fisici e neurologici nuovi, in primis la capacità – non scontata – di doverci spostare attraverso movimenti più articolati, come una specie di danza che mantiene in equilibrio dinamico gambe, braccia, torso e testa, legati da un innato istinto verso il ritmo. E la laringe: si è spostata e ha permesso nuove possibilità di vocalizzione.

Per fortuna! Perché il cucciolo di cui sopra – quello che odia essere “messo giù” – deve per forza essere messo giù: la mamma ha da fare (la mamma ha sempre da fare, anche se è un’ominide di molte migliaia di anni fa) e il cucciolo non sa stare su da solo.

E il senso di frustrazione e di angoscia della mamma ominide che sente piangere il bambino scatta immediatamente.

E qui la meraviglia dell’evoluzione, splendidamente raccontata da steven mithen nel suo libro “il canto degli antenati”, si manifesta: la mamma comincia a cantare.

Mamma canta (all’inizio solo un grugnito appena melodioso, ma comunque ricco di emozione, che si evolverà in ninnananna) e il bambino si calma. Il cucciolo sa di non essere in braccio alla mamma, ma ne percepisce la presenza attraverso il canto e si tranquillizza.

Come noi mamme di adesso, che nonostante i mille progressi della scienza ci ritroviamo di notte a cullare i nostri insonni cuccioli e a cantare per loro una nenia – una melodia qualsiasi può andare, basta che a cantarla siamo noi – calmando loro e noi stesse con loro.

Non sappiamo di preciso cosa cantassero le mamme ominidi, ma con molte probabilità è il canto che ha dato inizio alla varietà dei suoni, alla creazione delle parole e alla varietà del linguaggio. Ed è sempre attraverso il canto che veicoliamo le emozioni e che insegniamo  ai nostri cuccioli come reagire di fronte alle “cose del mondo”. 

Cantiamo quindi, come prima cosa e al dilà delle nostre personali competenze in materia, per garantire la sopravvivenza della nostra specie e per assicurare ai nostri bambini che qualunque cosa accada, noi ci siamo e ci prendiamo cura di loro.

Ma davvero fa bene cantare?

Canta che ti passa! Chi di noi non se l’è sentito dire almeno una volta? E chi di noi non l’ha mai detto – specialmente in una situazione almeno in apparenza “un po’ problematica”?

Come sempre, nei detti e nei proverbi, c’è del vero.

Cantare – a noi stessi e agli altri, bambini in primis – è un tipo di attività che apporta molti benefici non solo fisici e psicologici, ma anche emozionali e cognitivi sia a chi canta sia a chi ascolta. Numerosi studi, anche molto recenti supportano e confermano il fatto che la pratica musicale attiva, fin dalla più tenera età, contribuisce, tra le altre cose:

  • Allo sviluppo del linguaggio attraverso la consapevolezza dei fonemi, delle sillabe che li compongono e in generale della prosodia. Anche la lettura ne trae benefici, perchè sebbene la musica e la parola scritta sfruttino diversi sistemi di decodifica, la loro interpretazione coinvolge pattern neurali analoghi1
  • Allo sviluppo di competenze relazionali e sociali, specie attraverso interazioni che prevedano il ballo e il movimento2, rendendo anche i bambini più piccoli (2-3 anni) più empatici e proattivi nell’aiutare il prossimo3
  • Allo sviluppo fisico delle strutture cerebrali sia a livello micro sia macro – uno sviluppo non attribuibile a caratteristiche preesistenti – che si traduce in un cervello più attivo e reattivo anche nei confronti di attività non strettamente musicali4

Ma, cari tutti, la cosa che mi affascina sempre di più tra tutte queste è che il semplice fatto di cantare al nostro bambino – o anche solo canticchiare, con o senza competenze musicali specifiche – innesca nel nostro corpo una reazione chimica automatica che normalizza i livelli di cortisolo5 (ormone dello stress) nel nostro sangue e ci fa sentire fisicamente meglio. Questo benessere – e gli effetti positivi di questa reazione chimica – si riscontrano non solo in noi, ma anche in chi ci ascolta. Sarà mica per questo motivo che madre natura ci ha dotato di questo istinto innato che ci porta a cantare in piena notte per tranquillizzare le nostre creaturine urlanti – e noi con loro?

Altra cosa interessante: in caso di depressione post parto, nonostante i genitori paiano meno disposti a calmare spontaneamente i propri bambini attraverso il canto6, gli stessi traggono enormi benefici se fatti partecipare a gruppi di attività musicale attiva insieme ai propri piccoli7

Come dire: canta che ti passa ma se non ce la fai da solo, unisciti al coro! 

E’ una battuta, ovviamente, senza alcuna intenzione di sminuire una situazione grave di depressione post parto. Ma mi fa pensare al mio primo post parto: ero spesso da sola e mi sentivo completamente incapace, inadatta e non innamorata del mio bambino: gli ho cantato infinite canzoni, camminando migliaia di passi tra una stanza e l’altra, ma la verità è che credo di aver curato più me che lui. E alla fine, mi sono sentita meglio, ho cominciato ad uscire e a vedere anche altre persone, ma ho continuato a cantare, sempre.

La scienza dietro tutto questo, è affascinante per tre ragioni: il respiro, in primis, che per il canto deve necessariamente essere più ampio e profondo, contribuisce all’ossigenazione del sangue e del cervello, che si sentono immediatamente “ricaricati”.

Il “buon vecchio cortisolo”, poi, a cui abbiamo accennato prima,  comincia a normalizzarsi – ovvero ad abbassarsi se è troppo alto (stress) e ad alzarsi se è troppo basso (depressione), riportando la chimica del nostro sistema “corpo” ad una situazione più gestibile.

Infine, se abbiamo la possibilità di unirci a qualcuno per cantare, aiutiamo ulteriormente il tutto con una scarica di endorfine e dopamine gentilmente – e automaticamente – offerte dal nostro corpo.

In tutta questa meraviglia, ricordiamoci che abbiamo il nostro bambino con noi e che il semplice fatto di sentire la nostra voce lo fa sentire al sicuro, amato e protetto. 

Insomma, abbiamo nel canto un superpotere sempre disponibile, portatile, gratuito e cucito apposta su di noi e sul nostro piccolo: il trucco sta tutto nel rendercene conto ed accogliere questa possibilità quando si presenta. 

Magari siamo stanche e sopraffatte dalla giornata e sentiamo emergere tra i ricordi una melodia, una canzone che ci riporta ad un’emozione vissuta tempo prima, magari un brano le cui parole ci hanno particolarmente toccato: accogliamo questa sensazione e diamoci la libertà e il permesso di cantare.

Magari è la sesta volta che ci svegliamo di notte e non ne possiamo più e l’unica cosa che ci viene in mente è “ninna nanna ninna oh, questo bimbo a chi lo do”. O magari è la settima volta e ci viene in mente solo “highway to hell”.

La cosa davvero importante è ricordarci di noi, accorgerci di noi e riconoscere che in quel momento abbiamo voglia di dare voce e dare canto a quello che proviamo, per aiutarci a innescare le reazioni che poi ci faranno stare meglio.

Anche se siamo per strada e temiamo che qualcuno ci possa sorprendere: magari, chi lo sa, trova il coraggio di unirsi a noi.


TESTI CITATI NELL’ARTICOLO:

1 – SOUSA D.A. (2016) HOW THE BRAIN LEARNS. CORWIN PRESS

2 – LAUREL J. TRAINOR AND LAURA CIRELLI, (2015) RHYTHM AND INTERPERSONAL SYNCHRONY IN EARLY SOCIAL DEVELOPMENT

3 – CIRELLI L. K., WAN S. J., & TRAINOR L. J. (2016). SOCIAL EFFECTS OF MOVEMENT SYNCHRONY: INCREASED INFANT HELPFULNESS ONLY TRANSFERS TO AFFILIATES OF SYNCHRONOUSLY MOVING PARTNERS

4 – HABIBI, DAMASIO, ILARI, ELLIOTT SACHS, (2018) MUSIC TRAINING AND CHILD DEVELOPMENT: A REVIEW OF RECENT FINDINGS FROM A LONGITUDINAL STUDY

5 – SHENFIELD T., TREHUB S., NAKATA T. (2003) MATERNAL SINGING MODULATES INFANT AROUSAL

6 – FIELD, T. (2010) POSTPARTUM DEPRESSION EFFECTS ON EARLY INTERACTIONS, PARENTING AND SAFETY PRACTICES.

7 – BOSO, M., POLITI P., BARALE F., EMANUELE E., (2006) NEUROPHYSIOLOGY AND NEUROBIOLOGY OF THE MUSICAL EXPERIENCE 

E la tua vita, che colonna sonora ha?

Il ricordo più lontano che ho della “me” musicale risale alla materna: avrò avuto 4 anni circa, vivevo in un paesino di provincia e andavo all’asilo dalle suore. Erano gli anni ’80, non avevamo lo stereo in casa, ma la televisione sì e ricordo che aspettavo con trepidazione la musica de “l’almanacco del giorno dopo”[1], prima del noiosissimo telegiornale (di cui amavo però la sigla). A questo ricordo si aggiunge quello, potentissimo, delle recite e degli spettacoli organizzati all’asilo: carnevale, pasqua, natale, festa della mamma…pagane o no, tutte le ricorrenze erano buone per farci salire sul palco a cantare e io ero sempre in prima fila.

E da lì, poi, è stato un crescendo di sigle di cartoni animati (cristina d’avena forever), di videomusic (ho pure fatto un tema su madonna, in 4° elementare), di pomeriggi passati a noleggiare e ascoltare cd (quando si potevano noleggiare i cd). La mia colonna sonora è da sempre molto varia e variegata.

Quando sono diventata mamma, ho ripescato dal repertorio dei ricordi tutto quello che mi veniva a mente, senza badare troppo alla logica o alla forma, con ovvia facilità, e ho cominciato a cantare al mio bambino (non ho ancora smesso, dopo 6 anni).

Ma quando sono diventata mamma ho cominciato anche a frequentare altre neomamme e ho realizzato con lucidità quello che fino a quel momento avevo solo intuito: molte delle donne che non erano solite cantare, una volta diventate mamme hanno cominciato a farlo.

Magari in modo incerto, a volte solo abbozzato. Magari con sorpresa, nel sentire per la prima volta con chiarezza la propria voce cantata. 

 talvolta con un filo di dispiacere nel rendersi conto di non essere particolarmente intonate o “brave”, anche se questi sono chiaramente giudizi spesso più legati alla cultura e alle dinamiche sociali in cui viviamo che alle effettive capacità. 

Spesso, accompagnato dal pensiero “non so cosa cantare!”

Parto dando una risposta a questa sottintesa domanda: canta quello che vuoi, parti da quello che sai, canta i numeri, l’elenco telefonico o la lista della spesa, prendi la tua canzone preferita e cantala solo con la sillaba pam, se sai solo “la bella lavanderina”, comincia da lì. 

Cantare ai neonati è una pratica istintiva, antichissima, presente in tutte le culture. Ed è una pratica che fa bene ad entrambi, mamma e bambino, quando avviene con sintonia, che con il canto diviene sintonia anche degli affetti. In questo gioco di scambio e di dialogo, in cui al canto della mamma segue la risposta del bambino, in un gioco di sguardi, lallazioni, sorrisi e coccole, è importante che il livello di sintonia sia medio[2], così da lasciare spazio all’espressione creativa e all’ “andar per tentativi”, senza raggiungere i due estremi (assenza e invadenza) che per motivi opposti portano a squilibri nella comunicazione, fidandoci dell’innata abilità, presente fin dalla nascita e quindi sia in noi adulti sia nel nostro bambino, di muoverci in sintonia. Stephen mulloch – uno dei massimi esperti del campo – chiama questa innata capacità “muiscalità comunicativa” e ipotizza, tra l’altro, che sia una delle pratiche che ci permettono di trascorrere del tempo ricco di significato insieme ad altre persone, a prescindere dall’età.

In questa ultima puntata di “cantananna – il racconto della magia del canto”, voglio lasciarvi alcuni spunti, un po’ di idee che vi spingano a fare muisca – o a farne di più – insieme ai vostri bambini: sarebbe per me bellissimo sapere di avere contribuito a portare la musica nella vostra quotidianità.

  • Cominciare a cantare, se non lo fate da un po’, può essere intenso. Scegli la tua canzone preferita e cantala usando solo la mmmm. “masticala” nella tua bocca e assaporala, mentre guardi il tuo bambino.
  • Osserva il tuo bambino: magari a te piace l’heavy metal ma lui o lei non sembrano gradire. Prova a cantare la stessa canzone con un altro stile! Che ne dici del country? O magari a te piacciono i guns’n’roses, ma il tuo bambino sembra apprezzare di più l’opera. Perché non provare a combinare le due cose?
  • Nota quando tu e il tuo bambino siete sincronizzati e connessi e fai attenzione a quali canti o quali suoni lo hanno reso possibile: può durare anche solo un istante, ma è un momento prezioso, pieno di amore.
  • Osserva come reagisce il tuo corpo quando c’è una canzone che ti piace: quando comincia la parte scatenata del ballo? Al ritornello? Nello stacco strumentale? Cosa ti “accende” di più, le parole e il loro significato o i ricordi e le emozioni legate alla canzone stessa? Come ti senti dopo aver ballato? 
  • Canta gli ingredienti della ricetta che stai preparando per cena: prova diversi stili, basandoti su canzoni che sai già e quando ti senti pronta inventa la tua personalissima melodia. 

[1] Per chi ha nostalgia, la potete trovare qua: https://www.youtube.com/watch?v=1rxV6rhwLAM

[2] Gratier M., Trevarthen C., Ritmi di appartenenza e consapevolezza di sognificato: varianti culturali nelle interazioni madre-bambino (2008)

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