La musica è un gioco nutriente

Scrivo questo articolo ora ma la verità é che avrei voluto leggerlo anni fa, quando i miei figli erano piccoli e io non ne avevo un’idea. 

Perché è così, no? Siamo tutti genitori perfetti prima di diventarlo a nostra volta e io non faccio certo eccezione. (A questa grande verità se ne affianca un’altra, consolidata da anni di lavoro con le famiglie: i figli degli altri sono sempre più facili dei propri, ma di questo parleremo un’altra volta).

Per scelta personale, io e il papà avevamo deciso che avremmo passato quanto più tempo possibile con i nostri bambini, specie nel periodo prescolare. Ammirevole, penseranno i più. Quantomeno da ponderare, dico io ora (avrei dovuto dirlo allora), perché la quantità del tempo insieme é importante certo, ma anche la qualità. 

Non hai voglia di leggere questo post? Ascoltalo!

E ció che determina la qualità é la voglia e il piacere di stare lì e io non ne avevo così tanta da riempire tutte quelle ore. 

Sia chiaro: amo i miei bambini come niente altro al mondo. Ma amo anche me stessa, moltissimo, e nonostante le buone intenzioni e una base di partenza di tutto rispetto (almeno sul piano teorico) in quegli anni di figli piccoli ero riuscita ad inanellare una serie di corto circuiti mentali disastrosi:

  • Pensavo di dover continuamente intrattenere i miei figli
  • Pensavo di dover per forza fare con loro quello che facevo con le mie famiglie di musica
  • Avevo completamente dimenticato di tenermi del tempo per me e basta
  • Credevo che il fatto stesso di stare lì avrebbe riparato la mia infanzia e riscattato le infinite giornate trascorse senza i miei genitori. 
  • Credevo che siccome i figli erano i miei, madre natura mi avrebbe ispirata sul da farsi, ignorando completamente che madre natura – bontà sua – agiva diversamente, rendendo i miei figli specchio e innesco di tutto ció che non avevo ancora risolto in me. 

Quindi la situazione era più o meno questa: passavo un sacco di tempo con i miei bambini, ma non ne avevo così tanta voglia. Mi sentivo in colpa per questo ma poi mi arrabbiavo anche, perché non sapevo come si faceva a stare “bene” con i figli, perché non avevo mai visto i miei genitori stare bene con me. E poi pensavo che avrei voluto una di quelle famiglie in cui tutti cantano e ballano insieme, sono felici e si divertono e invece tutte le volte che provavo a insegnare qualcosa, i miei figli scappavano o si arrabbiavano. 

Allora ho cominciato a fare una cosa molto semplice, nel momento in cui i miei figli mi chiedevano di giocare: dicevo loro di sì subito ed ero super concentrata sul gioco, ma lo ero solo per il tempo di una canzone. Questo dava loro la soddisfazione di essere ascoltati subito e a me faceva guadagnare una mezz’ora di gioco autonomo che sapevo ci sarebbe stato al termine del gioco con me.

Per poter funzionare al meglio, però, questa pausa musicale doveva avere alcune caratteristiche, date anche dal fatto che era una mediazione tra noi: il gioco lo sceglievano loro, ma la canzone io e la cantavo in prima persona.

Lea aveva voglia di giocare con i pentolini? Cantavo una canzone sul cibo, fingendo di mescolare e impastare a tempo.

Milo voleva giocare con le macchinine? Qualcosa sui mezzi di trasporto, mentre li facevo correre a tempo lungo la pista.

Volevano entrambi giocare ad acchiapparella? Sceglievo una canzone senza parole e super adattabile, che mi permetteva di muovermi a tempo per la casa mentre cantavo.

Loro a volte cantavano e a volte no, ma io sapevo una cosa: le loro orecchie sentivano tutto, il loro cervello elaborava di continuo le informazioni e tutto quello che facevamo “arrivava” e nutriva il loro cervello musicale.

E io, alla fine della canzone, mi sentivo molto meglio!

E poi notavo alcune cose, in loro, e le collegavo ai miei studi e al mio lavoro: chiedevano di ripetere, erano concentrati e attenti, tanto più si divertivano quanto più io evitavo di pormi come insegnante, davano delle minuscole risposte musicali prima di partecipare in modo più evidente, li scoprivo canticchiare ancora nelle ore e nei giorni successivi mentre giocavano da soli.

Il corto circuito di fatica e frustrazione in cui ero entrata aveva cominciato un po’ alla volta a sciogliersi, perché grazie a questa minuscola pratica – cantare mentre giocavamo insieme – avevo trasformato un’attività quotidiana in un gioco musicale “nutriente”, capace di catturare l’attenzione dei miei bambini e di coinvolgerli, lasciando addosso a tutti un senso di benessere.

Associare all’attività un canto coerente e costante, funzionava e funziona perché attiva delle strutture del nostro corpo che non solo sono fatte apposta per rispondere a questo tipo di stimolo, ma innescano una vera e propria catena di apprendimento, che coinvolge il sistema uditivo, il cervello, la propriocezione, la coordinazione, la voce, l’ascolto. 

La stessa cosa non si attiva in modo altrettanto “nutriente” se anziché cantare ci si  limita a mettere su una musica registrata, né è altrettanto efficace se si canta una “canzoncina” tanto per e i motivi sono diversi: 

  • Ciò che crea la connessione che fa da scintilla a tutto non è il canto in sé, ma il canto in me : il bambino vuole la voce del suo adulto del cuore, non un’altra voce. 
  • Cantare crea una dimensione spazio-temporale definita: quando la musica parte non si ferma perché il tempo continua a scorrere, ma non è libera di andare ovunque perché c’è la scansione ritmica che la guida.
  • Il nostro canto arriva alle orecchie del nostro bambino e da lì al suo cervello e non c’è niente che possiamo fare – per fortuna! – per interrompere questo magico lavorio: siamo fatti apposta per elaborare informazioni sonore, trasferirle nel nostro corpo e trasformarle ripetizione dopo ripetizione in competenze grazie a prove ed errori.
  • Cantare con attenzione allena l’ascolto, degli altri come di noi stessi: è fondamentale, perché se non ascoltiamo – in senso ampio – non siamo in grado di educare, ma solo di pretendere, il che tramuta il gioco in una gabbia. 
  • Quando non cantiamo “tanto per”, ma siamo calati in quello che facciamo, siamo meno propensi a correggere subito ogni minimo sgarro e più inclini a mantenere alto il livello di fiducia necessario per un apprendimento davvero profondo ed efficace.

Queste riflessioni valgono a casa come nella scuola dell’infanzia, perché anche le educatrici e gli educatori hanno un “potere” analogo dal punto di vista canoro.

La musica nella prima infanzia funziona al meglio quando non è vista ne’ come un intrattenimento dovuto, ne’ come una cosa da imparare per forza, ma come un potente mezzo di relazione e comunicazione oltre che un propulsore di apprendimento e scoperta del mondo. 

Ecco alcuni esempi pratici per dare subito il via ad una prospettiva nutriente: 

  • quando giochi con le costruzioni di legno, mettine a disposizione solo una parte. Scegli una canzone semplice e lenta, anche senza parole (se non sai da dove partire puoi usare Fra’ Martino che funziona bene!). Mentre canti, impila i blocchi uno sull’altro con movimenti regolari, cercando il contatto visivo e mantenendo un sorriso accogliente e incoraggiante. Al nido o a scuola puoi pensare di lavorare con piccoli gruppi alla volta: non c’è bisogno di fare sempre tutto subito con tutti quanti!
  • se hai a disposizione dei foulard o dei fazzoletti usali per rendere visibile il tuo canto. Scegli una musica dolce – prova con una ninnananna – e accompagna il tuo canto con i gesti tipici del gioco del cucù. Prova a variare e a giocare con suoni e silenzi: canta solo quando il volto è visibile/fai silenzio quando è coperto dal fazzoletto e viceversa, oppure canta tutta la strofa ma fai silenzio sull’ultima nota

Se queste idee ti ispirano e vuoi provare subito a giocare, dai un’occhiata a CANTACHETIPASSA, il mio gioco originale che ti invita a giocare con la musica in modo nutriente.

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